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La Chiesa

Una lapide del 1621 a destra dell'altare maggiore documenta la presenza di una più antica chiesa benedettina dedicata a san Fortunato e abbandonata nel 1230, e la consacrazione della nuova chiesa di San Francesco nel 1289. I Francescani subentrarono ai benedettini, modificarono la chiesa più antica secondo i canoni architettonici dell'ordine.
Proprio in questi anni sembra sia entrato nell'Ordine dei frati minori lo zoccolante Andrea Bento, che alcuni studiosi riconducono a quell'Andrea da Grosseto letterato considerato il primo scrittore in lingua italiana.
Nelle epoche successive il complesso ha subito vari restauri: il campanile che si innalza sulla parte posteriore destra della chiesa venne distrutto da un fulmine e rialzato nel 1926 dall'architetto Lorenzo Porciatti.
La chiesa è ad aula unica, coperta a capriate a vista, con abside rettangolare con volta a crociera. Sulla facciata, sopra il portale, è una lunetta affrescata con la Madonna col Bambino e i santi Fortunato e Francesco, di Giuseppe Casucci, nato nel 1877 a Roccastrada; la lunetta è a sua volta sovrastata e protetta da un tabernacolo ligneo, sopra il quale si trova un rosone. All'interno si conservano alcuni tratti di affreschi di scuola senese riferibili al XIV e XV secolo. A destra è sant'Antonio Abate in trono, a sinistra è un gigantesco san Cristoforo, entrambi datati al primo Quattrocento. Ancora sulla parete di sinistra, sul fronte battesimale moderno, sono 2 angeli (XIV secolo) di scuola umbro-senese, e vicino all'ingresso della moderna cappella dell'Immacolata un frammento di Madonna di grande pregio (XIV secolo)che è stata avvicinata a Niccolò di Segna. A questa si sovrappone un'altra Madonna con Bambino e san Giacomo  apostolo (fine XIV secolo), non lontano da una santa in piedi (XV secolo). A desta del coro sono rappresentati san Francesco e san Bernardino (XV secolo).
Tra le varie opere d'arte custodite nella chiesa spicca il celebre Crocifisso su tavola attribuito alla mano di Duccio di Boninsegna (1285 circa). Recenti studi approfonditi sull'autore di tale importante opera oscillano nell'attribuirne la paternità tra il senese Maestro di Badia a Isola, lo stesso Duccio di Buoninsegna del primo periodo, più stilisticamente orientato verso Cimabue, e il senese Guido di Graziano, pittore seneseattivo tra il 1260 e il 1280. Quale che sia il vero autore del Crocifisso, l'opera è di enorme importanza artistica in quanto l'autore esce dal rango della convenzionalità dei pur eccellenti artisti toscani dell'epoca di Duccio. La flessuosità del corpo del Cristo effigiata nel Crocifisso e le proporzioni della immagine fanno sì che questa opera si collochi tra le più importanti della Toscana e dell'Italia intera. Nella chiesa sono conservati anche vari affreschi e decorazioni.
La cappella di destra, sul lato verso piazza Indipendenza, dedicata a Sant'Antonio, venne aggiunta nel 1639 ed è decorata con pregevoli affreschi dai pittori Antonio e Francesco Nasini, realizzati tra il 1639 e il 1683 con storie della vita del santo. Una simmetrica cappella si apre sul lato verso il chiostro, ma non conserva opere di interesse, è riservata alla preghiera e alla devozione mariana.

Annesso alla chiesa era un vasto convento che fu in parte investito dal cantiere delle mura medicee alla fine del Cinquecento: in particolare fu sacrificato parzialmente uno dei due chiostri

A fine Ottocento la chiesa fu restaurata a cura dell'architetto Lorenzo Porciattiche intervenne drasticamente sul monumento eliminando tutte le aggiunte post-medievali e in particolare gli altari laterali, secondo il ben noto gusto purista del tempo. Il campanile, colpito da un fulmine nel 1917 fu rialzato di un piano e modificato nel 1926-27: l'intervento fu molto simile a quello condotto qualche anno prima sul campanile del Duomo.
La Sala Friuli e il restauro del chiostro risalgono al 1970-72.

Davanti al sagrato della chiesa la statua bronzea di san Francesco, collocata nel 1965, risale all'ultimo periodo dell'attività artistica di ...
In epoca recente in questa chiesa si sono sposati Adriano Celentano e Claudia Mori; celebrò la messa all'alba (per sfuggire ai fotografi) il francescano Padre Ugolino Vagnuzzi amico della coppia e per lunghi anni consigliere spirituale degli artisti di fama nazionale.










La Via Crucis  dell'artista Antonio Lazari (Galatina, 7 marzo 1939 - Grosseto, 27 settembre 2018) [vedi].

https://www.facebook.com/pg/sanfraGrosseto/photos/?tab=album&album_id=256211105044178

Antonio Lazari si formò presso la scuola d'arte di Lecce, si trasferì in Toscana nel 1960, dove continuò la sua attività di insegnante e di artista delle arti figurative, infatti oltre alla pittura si dedicò prevalentemente alla scultura. La manipolazione dell'argilla, la lavorazione del marmo e dei metalli costituiscono la sua maggiore espressione creativa.
Molte sono le sue opere sia in Italia che all'estero e nella nostra città ricordiamo la Maternità in ricordo del bombardamento dell'ultima guerra, il monumento al Badilante, la Via Crucis presso la chiesa di san Francesco e quella presso la chiesa della Santa Famiglia oltre alla statua della Madonna posta nel giardino della chiesa della Santa Famiglia. L'allegoria della guerra presso la scuola media G. B. Vico, i ritratti di Verdi e Beethoven presso l'istituto Bianciardi, la statua di santa Teresa di Calcutta, l'ambone presso la cappella R. S. A. in via Ferrucci, nonché l'ambone e gli angeli della Cappella dell'ex Istituto Garibaldi, le decorazioni del carro di san Lorenzo e le medaglie della Pro Loco, tutto ciò lo rende più grossetano che pugliese.
Ha esposto in molte città italiane, in Francia ed in Germania ed è stato presidente dell'Associazione di arti figurative Eventi.
Queste poche note biografiche non rendono giustizia, come del resto accade sempre, allo spirito che ha animato l'artista, ciò che va oltre la tecnica e la capacità di manipolazione del materiale è quello che rende le sue opere visibili ed apprezzabili a coloro che guardano e viene da chiedersi: perchè sempre figure femminili avvolte e talvolta infagottate in ampi mantelli? E' come se fossero avvolte in un'inconfessabile dolore, in una morsa che racchiude vita e morte e che poi si esprime in un'asplosione di colore nella pittura dove ci riconduce ai simboli della vita primordiale.

Nel 2018 il parroco fra Paolo Fantaccini realizzò la mostra dal titolo "Stabat Mater. La sofferenza dei figli dell'uomo contempla la croce del Figlio di Dio", in collaborazione con Carlo Maccanti, con il coordinamento e le testimonianze dell'associazione "La Farfalla" (presidente Loriana Landi, dr. Bruno Mazzocchi, dott.ssa Federica Finocchi), grazie anche al supporto nella rielaborazione grafica dei bassorilievi di Manuela Vannini e degli allievi della Scuola Arte-Studio, all'aiuto per le foto e l'impianto grafico di Roberto Vittorio Martinelli e Giorgia Domenichini.
A conclusione dei lavori fu realizzato un libretto con la Via Crucis che periodicamente i parrocchiani utilizzano per le loro celebrazioni quaresimali.

La fragilità che è in noi
Le quattordici stazioni di Antonio Lazari nella Chiesa di San Francesco, spostate per la mostra nel chiostro e poste ad altezza d'uomo, restituiscono particolari e suggestioni che l'artista ha voluto trasmettere nella sua opera e che, poste a quattro metri d'altezza nella chiesa, non danno la possibilità di essere lette. Attraverso le quattordici formelle si sviluppa un percorso lungo il quale la sofferenza dei figli dell'uomo contempla la croce dl Figlio di Dio. La concretezza dei titoli dati ad ogni statio, sviluppa un percorso reale, aiutandoci a legger l'opera dell'artista attraverso la parola di Dio e la parola dell'uomo, presa questa dalle testimonianze dei diari dell'Associazione.
L'intuizione di condividere con La Farfalla -associazione cure palliative- un'attività che aiutasse a recuperare il dialogo con la fragilità umana, ha prodotto questo percorso offerto alla città di Grosseto come possibilità di riflettere su un aspetto dell'esistenza sempre più relegato ai margini della cultura competitiva in cui viviamo: al progresso tecnologico e scientifico non sempre corrisponde altrettanta crescita e vicinanza alla persona e alla persona nei suoi disagi che, anche nella malattia, deve continuare a poter essere protagonista della propria vita. Oggi constatiamo che la tenuta sociale, il tessuto relazionale e di appartenenza, vanno sempre più impoverendosi. Infatti, a fronte di un progresso che sempre più ci fa essere connessi, rendendo il mondo un villaggio globale, si avverte, nelle relazioni interpersonali, una progressiva presa di distanza, sempre più netta, da tutto ciò che riconduce alla fragilità e al limite.
Società delle comunicazioni e solitudine dell'uomo; potremmo dire: "indietro tutta"? Stiamo arrstando la capacità di compassione, di vicinanza all'altro che soffre e -forse senza rendercene pienamente conto, almeno lo speriamo- questo cattivo insegnamento lo stiamo trasmettendo alle nuove generazioni come fosse "educativo", per cui l'inaffettività diventa la giusta distanza per non essere intercettati dalla fragilità altrui, maschera da indossare per non essere troppo coinvolti, dandoci così la possibilità di mantenerci ampi margini di tranquillità. Così, tutto quello che ci circonda e che viviamo nella realtà della giornata diventa virtuale: notizie che più o meno ci possono interessare e più o meno ci possono toccare, come la dimensione informativa quando va bene, ma non più performativa.
La Via Crucis di Antonio Lazari e La Farfalla sono la bellezza e la ricchezza che vogliamo far scoprire alla città, come doni già presenti e operanti sul territorio; aver voluto dare loro voce è stata una missione della parrocchia. Missione rivolta non a terre e paesi lontani, ma vicino a noi, là dove la lontananza, i chilometri di distanza, possono essere solo il distacco che si produce con l'indifferenza del nostro cuore.
Per noi cristiani la via crucis è il luogo in cui Dio parla nel silenzio: quel silenzio della finitudine umana, che è diventata per amore la sua finitudine! Il mistero nascosto nelle tenebre del Venerdì Santo è il mistero del dolore di Dio e del suo amore. L'un aspetto esige l'alro: il Diocristiano soffre perchè ama e ama in quanto soffre. Egli è il Dio "compassionato", il Dio-per-noi, che si dona fino al punto di uscire totalmente da sé nell'alienazione della morte, per accoglierci pienamente in sé nella donazione della vita. Dio non è impassibile: Egli soffre per amore nostro. Nella morte di croce il Figlio è entrato nella "fine" dell'uomo, nell'abisso della sua povertà, della sua tistezza, della sua solitudine, della sua oscurità. E soltanto lì, bevendo l'amaro calice, ha fatto fino in fondo l'esperienza della nostra condizione umana: alla scuola del dolore è diventato uomo fino alla possibilità estrema.
L'essere umano nasce come creatura bisognosa d'affetto, ognuno di noi in fondo non è altro che un pozzo che desidera essere riempito d'amore e, a sua volta divenuto egli stesso adulto, si rende capace non solo di riceverlo ma anche di donarlo. Se questa è la condizione umana, che ci accomuna, ancor più lo è quando questa viene segnata dal limite e dal limite estremo che è la morte. nessuno deve trovarsi da solo, è necessario diffondere una cultura dell'attenzione al malato terminale, alla qualità della vita sua e dei suoi cari: mai più soli!









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